Aprire il frigorifero come unico possibile atto di evasione. Aprire la porta di casa, uscire, e confrontarsi con il mondo ti espone a rischi troppo grandi che non vale la pena affrontare. Sai già come va a finire. Il sollievo della pancia piena prima o poi svanirà. I livelli di serotonina torneranno ad abbassarsi. Resterai di nuovo sola con i tuoi demoni, la tua frustrazione, la tua paura. Eppure, sarà la porta del frigo che andrai a riaprire di nuovo. Senza esitazioni. Anzi, ogni volta con speranze rinnovate, benché timide. È una dipendenza che non puoi o non vuoi spezzare. La risposta (il cibo) al bisogno (il malessere) è sempre reperibile e, sebbene abbia un’efficacia limitata, sortisce effetti immediati, non implica sforzi e infonde sicurezza. Obesità non fa necessariamente rima con disturbi dell’alimentazione incontrollata. Ma chi di noi non si è mai ritrovato in questa situazione, almeno una volta? Sui disturbi dell’alimentazione e del peso in genere la sfera emotiva e la psiche incidono in misura variabile (da caso a caso) ma innegabile. Peccato che tale affermazione sembri, talvolta, più vera se riferita agli anoressici piuttosto che agli obesi. Come se il sovrappeso fosse un “capriccio”, un inconfutabile sintomo di pigrizia, scarsa volontà ed eccessiva indulgenza verso se stessi. Se ne avete abbastanza delle visite mediche scoraggianti, concedetevi un’altra opportunità con l’Obesity Day (clicca per il sito) che si svolge giovedì 10 ottobre in tutta Italia. E continuate a leggere per conoscere la mia esperienza.
L’Obesity Day è un’iniziativa che coinvolge i centri ADI (Servizi di Dietetica e Nutrizione Clinica, Servizi Territoriali, Centri Obesità) nel campo specifico della prevenzione e della cura dell’obesità e del sovrappeso. Si svolge ogni anno il 10 ottobre, dopodomani, in tutta Italia: in questa speciale giornata del paziente, oltre 200 centri ADI sono a disposizione per erogare gratuitamente interventi di informazione/educazione. Clicca per scoprire il centro ADI più vicino a casa tua e prenota la tua visita per giovedì.

La mia esperienza personale trova conferma nelle parole dello psicoterapeuta Giovanni Porta, esperto di problemi dell’alimentazione: “Nell’obesità c’è una profonda influenza di fattori psicologici. Le persone obese hanno infatti, in molto casi, sviluppato una vera e propria dipendenza dal cibo. In altre parole, assumono cibo come risposta a moltissime situazioni di stress o anche di dispiacere della loro vita. Hanno difficoltà ad ascoltare e riconoscere le proprie sensazioni ed emozioni rispondendo alla maggior parte di esse come si trattasse di fame, ed avendo come conseguenza il fatto di ingrassare, senza aver in alcun modo risposto ai propri bisogni. Inoltre, la condizione di obesità complica non poco la vita di relazione, tanto che molte persone obese si sentono spesso frustrate, con bassa autostima, incapaci di suscitare interesse e reazioni positive nel sesso opposto. Alcuni, per evitare ulteriori rifiuti, conducono una vita decisamente ritirata, che non fa che creare spazio fertile all’ulteriore eccessiva assunzione di cibo”. Nella cura dell’obesità: “L’approccio che ha dato maggiori frutti è caratterizzato dalla collaborazione di professionisti della nutrizione e della psicologia. Il primo passo per rompere questo circolo vizioso è aiutare la persona obesa a entrare in contatto con le proprie emozioni e sensazioni, e aiutarla a riscoprire che la soddisfazione dei suoi bisogni non passa necessariamente attraverso il cibo. Le emozioni sono come le spie che si accendono sul cruscotto dell’auto mentre stiamo guidando, e ognuna di esse indica una necessità” Per approfondire www.giovanniporta.it
Cosa resta da dire, allora, sull’obesità? Tutto. In primis, che nella vita quotidiana e medica se ne parla poco e con approssimazione. In secondo luogo, chi ne è affetto tende a non ammettere che si trova difronte a un problema. Ma anche chi indirettamente ha a che fare con l’obesità non sa comprenderne fino in fondo le cause e le conseguenze. Quanti genitori, familiari, medici mostrano un approccio sbagliato verso chi è affetto da obesità? Il grosso guaio è che troppo spesso vengono tralasciate l’origine e le implicazioni psicologiche. L’obesità viene vista come una questione di peso e di salute fisica tout-court. Ignorando che, quasi sempre, le cause scatenanti non dipendono dalla volontà dell’individuo, ma da fattori contingenti. Genetici, in una piccola percentuale, e psicologici in una misura più ampia. Bisogna, invece, andare a individuare da quali deficit scaturisce questo comportamento alimentare e sociale. Altrimenti, risulta difficile intervenire in maniera mirata ed efficace.
Nella mia vita in perenne sovrappeso ho collezionate tante di quelle turbe mentali da riempirci un museo. Dai racconti dei miei genitori non emerge una chiara causa scatenante dell’obesità. Ho iniziato a prendere peso smisuratamente da piccolissima, quando avevo 3 anni. A 6 anni mi diagnosticarono l’ipotiroidismo, mai curato fino all’età di 15 anni. In mezzo, c’è stata un’infanzia poco serena, con punti di riferimento vacillanti e nessuna possibilità di costruire la mia autostima. Ma a tracciare irrimediabilmente il mio percorso verso il sovrappeso sono state le abitudini alimentari e i ritmi di vita della mia famiglia. I miei genitori, semplici e umili, figli a loro volta di famiglie non agiate, sono sempre stati molto attratti dall’opulenza e dall’abbondanza di cibo, memori dei tempi in cui il mangiare veniva minuziosamente razionato. Il pasto è sempre stato l’unico vero momento di condivisione e di contatto con i miei genitori. Il perno attorno a cui ruotano le loro vite era ed è il lavoro e hanno sempre provveduto a compensare la loro assenza con beni materiali. Il cibo, innanzitutto. Avevo sviluppato da bambina questa associazione tra pasto e condivisione familiare. Non ci è voluto molto perché le richieste di attenzioni verso i miei genitori diventassero richieste di cibo. Quando, poi, sono entrata nell’adolescenza e mi sono ritrovata sempre più sola, con lo studio come unico momento di autovalutazione positiva di me stessa, è scattato il meccanismo. Solitudine, depressione, mancanza di punti di riferimento, lieve timore verso le relazioni umane, frustrazione per non vedere apprezzate le mie qualità, rabbia per non poter perseguire le mie aspirazioni. Tante emozioni negative che scavavano un cratere dentro di me. E io, per riempire il vuoto, dovevo mangiare. Ho mangiato di nascosto per tanti anni e, del resto, non c’erano occhi che potessero controllarmi né mani che potessero frenarmi. Tante altre le ossessioni che ho sviluppato nel periodo dell’adolescenza e che mi sono portata dietro fino a qualche anno fa. La svolta è avvenuta a 21 anni. Ho vissuto un anno in Spagna come studente Erasmus. E lì è avvenuta una sorta di catarsi, anche se già dall’anno precedente, quando mi sono trasferita per motivi di studio, avevo iniziato a liberarmi gradualmente della mia dipendenza. Sono finalmente entrata in contatto con me stessa, la vera me. E ho iniziato la vita che volevo fare. Non senza momenti di sconforto, confusione, e paura di deludere le aspettative della mia famiglia. Tuttavia, finalmente lontana dai problemi e protagonista della vita che avevo sempre desiderato, il meccanismo malessere-cibo si è magicamente interrotto. Per poi manifestarsi di nuovo, puntuale, al mio ritorno in Italia. Dopo una serie di eventi sfortunati e fortunati, tra cui l’incontro con il mio fidanzato, da un paio d’anni l’alimentazione incontrollata non è più una costante della mia quotidianità. Anche se i fattori esterni che condizionano la mia vita giocano tutti a mio sfavore. A volte, infatti, il raptus mi coglie senza che riesca a frenarlo e mi ritrovo in bilico tra il piacere di appagare nell’immediato i miei bisogni emergenti, da una parte, e i sensi di colpa dall’altra. Ma io tifo per me, per la mia vita e per la mia felicità. Mi sto liberando pian piano, specialmente negli ultimi tempi, di tutto ciò che mi separa dalla mia serenità. I chili di troppo ci sono sempre. Ma, intanto, ho trovato me stessa. E non mi sento più smarrita.
Se volete raccontarmi la vostra esperienza, sono qui per ascoltarvi e confrontarci. Un abbraccio.