Il Capodanno di dieci anni prima

L’esame di coscienza del Capodanno l’aspettava sempre al varco.

Se la misurazione del tempo è un’invenzione dell’uomo – una mera pro forma – allora lo sono anche le masturbazioni mentali derivanti dal passare del tempo, no?

Ma perché non possiamo farne a meno?

Probabilmente, per la stessa ragione per cui non possiamo fare a meno di misurare il tempo e tarare le nostre esistenze su quelle due malefiche lancette.

Convenzione.
Una parola che non riserva
mai nulla di buono.
O niente che le piaccia.

Intrecciava le dita attorno al bicchiere di spumante, mentre i rumori della festa scemavano e i pensieri nella sua testa guadagnavano decibel.
Uno stacco netto senza sfumature. Avrebbe senz’altro preferito un dj diverso alla consolle.

Gli altri si stavano già infilando nei loro cappotti.

La vista dei suoi amici tutti in fila davanti alla porta di casa, pronti ad andarsene, le proiettò in mente una visione.

Li vide lì, esattamente com’erano. Ognuno aveva qualcosa in mano.
La borsetta, la busta con i botti inutilizzati – che la vicina si era lamentata – i vassoi dei dolci della mamma…

Non seppe resistere alla tentazione di riempire idealmente quei contenitori che gli amici recavano in mano.

Ci mise dentro tutti gli episodi dell’anno appena finito di cui voleva liberarsi. Come se avesse bisogno dell’aiuto di qualcuno, per allontanarli per sempre.

Come uno che si trova una vecchia granata nel campo e deve chiamare gli artificieri.

Lei si porta via quella brutta storia con mia madre.
Lui quella brutta storia con mio padre.
Ci vuole un po’ di par condicio.
All’altro gli mollo quella faccenda irrisolta con la presunta migliore amica.
Quella là… si porti pure via la faccia da idiota del mio ex.
All’altra le do…

Quegli oggetti non erano abbastanza grandi per contenere tutto ciò di cui lei voleva sbarazzarsi. Ma l’immaginazione può tutto.

Con un paio di battiti di ciglia diede fondo ai ricordi scomodi. Pochi attimi.

– Noi ce ne andiamo. Buon anno!
– Buon anno!

L’ultimo chiude la porta.
Puff!
Giusto in tempo.

L’anno nuovo era già più leggero.

fonte: www.weheartit.com
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Silenzio.

Forse, era riuscita a mandar via pure il suo dj interiore. Quel cane che non sapeva mixare i suoni di fuori con i suoni di dentro.

– Allora, che facciamo?

Trasalì.

Non se n’erano andati tutti. C’era ancora lui.
Ovvio. Lui non era un ricordo scomodo.
Era proprio una presenza scomoda.

– Io e lei sistemiamo un po’ la cucina e poi si va a dormire.
Qui ci pensiamo da soli, va’ pure a casa, se sei stanco.

Garbato e laconico.
L’aplomb da perfetto padrone di casa non celava la sua fermezza.

– Ok. Fate i bravi voi due. Buonanotte e buon anno.
– Buon anno.

Silenzio. Questa volta per davvero.

Si ritrovarono a raccogliere avanzi, togliere piatti sporchi dal tavolo, svuotare posacenere.
Senza scambiarsi una parola.
Solo sguardi. Sorrisi. Scherzi.

Vista dalla prospettiva attuale, la festa di Capodanno sembrava un pretesto.
Una grande macchinazione ordita solamente per arrivare a quel momento: loro due, soli, così.

Senza dj ad alzare o abbassare il volume.
Loro potevano eseguire gli stessi passi di danza senza bisogno di musica.

Di lì a poco, crollarono sul divano.

Lei fissò la porta per un attimo. Esitando.

Infine, disse che sarebbe rimasta a dormire da lui, sul divano, come lui le aveva proposto.

Sì, dai, l’ultima sigaretta e ce ne andiamo a dormire.

Un braccio le cinse le spalle, inavvertitamente. Ricambiò l’abbraccio.
Sicura che quel gesto non potesse dare adito a fraintendimenti.

Del resto, i patti erano chiari da tempo.

D’un tratto, il calore confortante delle certezze si dissipò in un brivido di gelido disagio.

L’abbraccio era diventato pressante, arrogante.
Non ballavano più la stessa danza.

– Vorrei dormire. Sono stanca.

L’ultimatum velato e pacifico di chi vorrebbe essere perentorio ma teme il malinteso.

Le balzò in testa un passo de L’arte della guerra:

” La miglior vittoria è quando l’avversario si arrende di sua propria iniziativa, prima che vi siano davvero delle ostilità…
È meglio vincere senza combattere “

Ma non poté ricordare nessun aut aut celebre che avesse prodotto una risoluzione pacifica immediata.

Per tutta risposta, lui la ricoprì con una sassaiola di baci.
Perché le sembrarono proprio questo: una punizione. Non un dono.

Riuscì a liberarsi dalla gabbia di quell’abbraccio.

Prese le sue cose e si diresse verso la porta.

Determinata a metter fine al conflitto in fretta e senza drammi inutili.

Essere umani è
la nostra più grande colpa.
E l’unica prova
che possa scagionarci.

– Non te ne andare. Facciamo l’amore! Lo vuoi pure tu.
– Io lo voglio sempre. Tu solo quando sei confuso.

Lui la mise con le spalle alla porta.

Le si scagliò addosso con un desiderio tracotante e forzato.

Era posseduto da una profonda disperazione. Quella dell’insicurezza.
Che rende miserabile chi si àncora a certezze surrogate credendole vere, salde.

Lei capì che doveva fare qualcosa. Subito.
Prima che la situazione diventasse irrecuperabile.

Emise un grido.

– No!

Lo sentì risuonare per tutte le pareti del corpo e premerle sul cuore.

Il dolore rimbomba.

Lui si fermò. La guardò dritto negli occhi per un istante che sembrò durare tutti gli anni che avevano passato insieme.

Lei non gli diede tempo di dire nulla.

Raccolse da terra le sue cose, aprì la porta e se ne andò.

Il “no” di quella notte le suonò come la prima parola di senso compiuto che un bebé riesce a pronunciare tra i vagiti.

fonte: www.weheartit.com
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Con il tempo, “no” diventò il suo vocabolo caratterizzante.

Se vuoi fare questo lavoro, devi accettare le regole. É così che funziona.
No. Mi pare ingiusto.

Abbiamo deciso tutti insieme di fare questo. Va bene anche a te, vero?
No. Evidentemente, non è una decisione di tutti.

È tutto difficile, ma ci amiamo. Stiamo insieme!
No. È solo dolore inutile.

In quel modo non si può fare, però ti propongo questa alternativa.
No. Meglio non farlo, allora.

Non so se voglio una storia seria o fare sesso random.
Nel dubbio, ce la facciamo una scopata?

No. Tu sei bipolare.

Lei mi deve rispetto perché le do lavoro e potrei essere suo padre.
No. Il rispetto si guadagna con il rispetto, non le spetta per gerarchia.

Mi sono distratto e ti ho tamponato. Succede. Non sclerare!
No. Non “succede” che minimizzi invece di chiedermi scusa.

Ti va di vederci?
Ho 30 minuti da quando esco dall’ufficio prima di tornare da mia moglie. Trova un posto a metà strada, in campagna facile da raggiungere con l’auto ma lontano da occhi indiscreti. Porta una coperta così ci mettiamo comodi. Però posso stare poco, altrimenti…

No. Faccio da sola. Sono più veloce di qualsiasi sveltina, credimi.

Molti dicono che i suoi “no” siano un peccato di superbia o una mera forma di rigidità.

Forse hanno ragione.

Per lei, ogni “no”
è un atto di fede.
Il gesto coraggioso
di chi confida che
si possa fare di meglio.

Pare che chi ha avuto la pazienza e l’interesse di analizzare e comprendere i suoi “no”, successivamente, l’abbia sentita pronunciare molti “sì”.

 

Ah, la Regina della Pace
Fa sempre del suo meglio per compiacere
Ma a cosa serve?
Qualcuno, alla fine, deve perdere


Foto di copertina di Tiziana M. Photography
(tratta dal mio articolo Lavish Christmas)

Inizierai il nuovo anno con un o un No?

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6 risposte a "Il Capodanno di dieci anni prima"

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